La mia voce

di Francesca Manfredi

Mia nonna è convinta che io voglia fare l’attrice. Si è fatta questa idea la prima (e unica) volta che mi ha visto su un palco – una recita parrocchiale, avrò avuto una decina d’anni. Idea che si è in qualche modo autoconfermata quando ha saputo che sì, facevo l’università, ma che studiavo cinema, fino a diventare certezza quando le hanno raccontato che mi ero iscritta a una scuola che assomigliava a un’accademia e aveva al suo interno un piccolo teatro. Il fatto che fosse una scuola di narrazione, era un dettaglio che non ha mai fatto oscillare le sue certezze.

Il problema, credo, è che mia nonna non riesce proprio a capire che gli attori che vede su un palco o dietro uno schermo pronunciano parole che, la maggior parte delle volte, qualcun’altro ha scritto per loro. Non che pensi che il mondo che appare sulla scena sia reale, ovviamente. Ma, in qualche modo, non riesce a farsi l’idea di una o più persone non visibili a lei che inventano e costruiscono esseri immaginari, danno loro una storia, decidono quali frasi mettere loro in bocca e, infine, li fanno materializzare. Deve sembrarle ridicolo e implausibile quanto credere che dentro al televisore ci siano minuscoli omini che lo fanno funzionare. Quelli che ha davanti sono attori, sì, ma sono anche persone reali. La storia va avanti nel modo che decidono loro, o seguendo regole incomprensibili quanto quelle che regolano l’universo, e non c’è altro sotto. A me è accaduto l’opposto. Dopo aver passato le prime due settimane di luglio nella Writers Room alla stesura di 6Bianca, alla definizione dei personaggi e delle dinamiche, e i successivi due mesi alla scrittura di uno degli episodi, scopri di aver frequentato gli otto protagonisti della serie più dei tuoi amici. Ti rendi conto di conoscerli, per quanto tu li possa vedere solo attraverso un documento di Word.

Fin quando non ti chiamano dal teatro per invitarti a un incontro con gli attori. E allora, incredibilmente, capisci che quello che hai immaginato per mesi esiste davvero. I personaggi di cui hai scritto le battute sono esseri in carne e ossa, che ti stringono la mano e si presentano – anche se tu i loro nomi li conosci già, e non sono quelli che hanno appena pronunciato. Non riesci a smettere di guardarli perché sai tutto di loro ma è la prima volta che li vedi. Non riesci a smettere di guardarli e hai la netta impressione che passerai per una psicopatica, ma non ti importa. Perché è allora che ti rendi conto che, nonostante tutto, forse tua nonna ha ragione. Valle a spiegare che sul palco di quel teatro non ti vedrà, adesso.