Bianca Ferraris
Mi chiamo Bianca Ferraris. Sono morta ieri. Mi sono impiccata in una delle fabbriche di mio padre. Ovviamente vorrete sapere perché. Scusatemi, ma voglio lasciarlo scoprire agli altri. Per ora, tutto quello che dovete sapere è che non ho avuto scelta. Non c’era più niente di buono al mondo. Ogni cosa solida e vera si era improvvisamente trasformata in polvere.
Ci saranno un sacco di ipotesi sulla mia morte. Ci saranno clamorosi titoli in prima pagina. “Figlia problematica di elegante industriale si uccide”. Riporteranno alla luce il mio passato. Gli esaurimenti nervosi, le stupide relazioni sentimentali, le voci sul consumo di droghe. Diranno che il mio recente lavoro con i disperati e gli oppressi era soltanto il modo per una ragazza ricca di tenersi impegnata, che le mie missioni a Lampedusa e in Somalia non erano altro che le vacanze di un’anima viziata. Ma sbaglieranno, tutti. Non ho mai voluto essere alla moda. Non volevo essere una ribelle. Non ho mai voluto essere famosa. Volevo solo essere buona.
Vorrete sapere com’è essere morti. Niente di speciale. Voglio dire, non puoi passare attraverso i muri, o leggere nella mente. Vedo le cose in modo più chiaro, anche se non mi fa molto bene. Sto molto tempo nell’ombra, dormo molto. E poi qualcuno mi pensa e io gli appaio improvvisamente. L’unica cosa buona della morte è che non sono più afflitta dall’ansia o dall’ambizione. Sono finita, fuori dal gioco.
No, questo non è completamente vero. C’è ancora una cosa di cui mi preoccupo: mio padre, Amedeo. Era il mio mondo, e io ero il suo. La mia morte l’ha lasciato solo a confrontarsi con i suoi peggiori peccati. No, non sto solo parlando di quello che ha fatto a suo padre, o ai suoi rivali economici. Non sto parlando del disprezzo che nutre per sua madre o di come abbia allontanato la mia.
Parlo di quello che ha fatto a me.